Ma poi che gusto c’è a vivere
Senza mai farsi del male?
Nabucodonosor, I Cani ft. Baustelle
Una sera di alcuni anni fa entro trafelata in un supermercato.
Mi servono alcune cose urgenti e devo essere veloce perché una voce squillante informa i gentili clienti che il supermercato sta per chiudere, prego avvicinarsi alle casse. Volo tra le corsie, agguanto quello che mi serve e mi dirigo verso le casse automatiche.
Mentre concludo tutta la procedura – passa la carta, gli articoli, quanti sacchetti hai preso? metti i soldi, prendi lo scontrino – le saracinesche iniziano a scendere, ma non del tutto, per lasciar uscire gli ultimi clienti. Arraffo le mie cose e, senza nemmeno
alzare la testa, mi dirigo a grandi passi verso lʼuscita ma quasi subito il mio incedere viene prontamente fermato dalla saracinesca addosso alla quale vado a sbattere rumorosamente.
Ammaccata e rossa come un pomodoro, chiedo scusa alla commessa sgomenta e
corro via, massaggiando la mia povera testa.
A tutti noi è successo almeno una volta. Non sto parlando di picchiare la testa contro una saracinesca (anche se secondo me non è poi così raro), ma di farci male e, istintivamente, massaggiarci la zona lesa.
Lo facciamo perché lʼimpressione è quella di ridurre efficacemente la percezione del dolore. Ma è davvero così?
Nel 1965, lo psicologo canadese Ronald Melzack e il neuroscienziato inglese Patrick David Wall formularono una teoria per provare a spiegare questo fenomeno: la “Teoria del cancello” (Gate Control Theory; Melzack & Wall, 1965). Quando sul nostro corpo arriva uno stimolo nocivo, questo attiva particolari recettori detti nocicettori. Semplificando un pochino, il nocicettore trasmette un impulso attraverso specifiche fibre a un neurone situato nel midollo spinale.
Da qui, il segnale viene poi inviato al più grande centro di processamento di informazioni: il nostro cervello. Melzack e Wall in sostanza si sono chiesti se il segnale relativo al dolore, portato dalle fibre nocicettive, potesse essere modulato. E in effetti è proprio così, ora ve lo spiego. I neuroni midollari non ricevono solo segnali dai nocicettori, ma anche da altri recettori situati sulla nostra pelle o sulle mucose che portano informazioni diverse, ad esempio tattili o termiche.
Le fibre dolorifiche e non perciò convogliano tutte sullo stesso neurone midollare, modulando e inibendo il segnale le une delle altre. Questo vuol dire che, se uno stimolo dolorifico (un colpo in testa) e uno non dolorifico (lo strofinamento dello stesso punto con la mano) arrivano contemporaneamente, la trasmissione del segnale doloroso sarà attenuata per via della presenza di un segnale tattile allo stesso neurone midollare.
Ecco quindi che la nostra sensazione di provare meno dolore se strofiniamo la parte lesa, non è solo una una nostra sensazione ma un meccanismo biologico stabile.
Affascinante, non trovate?
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