L’anno scorso ci eravamo lasciati con i risultati di prove preliminari (vedere l’apis n. 2/2019) volte a esplorare l’idea che i trattamenti a base di acido formico possano avere un impatto anche sulla varroa sotto l’opercolo, in fase riproduttiva
Durante la stagione 2019, che è stata caratterizzata quantomeno in Piemonte anche da alti livelli di infestazione da varroa, è stata realizzata una prova volta ad approfondire i risultati ottenuti in modo quasi serendipitoso (fortuita scoperta mentre si era impegnati a ricercare altro, per adattare il termine di una commediona romantica inizio millennio), riguardanti il disturbo alla fase riproduttiva sotto opercolo della varroa fondatrice, oltre che alla capacità di causarne direttamente la morte.
In questo modo diventerebbero tre le azioni nei confronti della varroa esplicate dall’evaporazione di acido formico negli alveari. Le attuali necessità di fronteggiare il carico da varroa anche al di fuori dei canonici momenti previsti per gli interventi, tipicamente in estate (luglioagosto) e in inverno, portano il settore apistico alla costante ricerca di strategie che permettano trattamenti tampone da eseguirsi in tempi brevi e che portino quella riduzione della infestazione di varroa tale da poter proseguire la stagione produttiva, praticabili idealmente nei “buchi” tra le fioriture.
Dal momento che l’attività dell’acido formico porta in eredità anche un
parziale blocco di covata, la richiesta sarebbe quella di ridurre al minimo la durata quindi assicurare alla famiglia una pronta ripresa, supportata magari da api che abbiano subito meno danni possibili durante la fase di sviluppo sotto opercolo. Da qui il grande interesse per i risultati ottenuti lo scorso anno, che mostravano come esistesse un danno causato da un trattamento della durata di 7 giorni anche alla progenie della varroa oltre che alla varroa fondatrice stessa.
Le prove in campo condotte nell’estate del 2019 hanno condiviso le metodologie con la prova condotta l’anno precedente – dove gli alveari erano stati valutati dopo una settimana di trattamento, ma non ci si attendeva una efficacia anche sulla progenie della varroa. In particolare i dati raccolti mancavano di una valutazione circa la “sterilità basale”, ossia la valutazione prima del trattamento delle varroe che infestavano la covata oggetto del test. Preso atto dai risultati che poteva esserci anche questa conseguenza, si è reso necessario ripetere la prova, questa volta raccogliendo dati sugli alveari prima di iniziare il trattamento in modo da determinare il dato basale per le situazioni di infertilità della varroa sotto opercolo.
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