L’ape e l’architettura – Novità dalla ricerca

di Daniele Besomi

Parte 1: La struttura dell’arnia e la dispersione di energia

L’ape è evoluta nel corso di diverse decine di milioni di anni producendo delle colonie adatte alla vita nelle cavità degli alberi, che scelgono e modificano in modo da soddisfare le proprie esigenze. L’apicoltura è evoluta nel corso di poche migliaia di anni escogitando strutture architettoniche alternative che permettessero di alloggiare le api in nidi funzionali all’estrazione del miele. L’inventività degli apicoltori in questa direzione ha raggiunto il suo apice nella seconda metà dell’Ottocento, dopo di che le strutture sopravvissute alla competizione tra modelli si sono ridotte a poche varianti che differiscono principalmente nella volumetria dell’arnia e nella dimensione dei telai. Il catalogo più recente della Dadant offre essenzialmente i medesimi prodotti della versione del 1929, salvo proporre qualche materiale alternativo al legno.

Negli ultimi anni, però, si mette sempre più insistentemente in dubbio che le ‘arnie razionali’ siano ottimali anche per le api oltre che per gli apicoltori, e si è riaperta la discussione sui pro e contro dei vari modelli di arnia. Il nido naturale delle api – il cavo d’albero – tende ad essere:

1) più piccolo di quello artificiale che noi proponiamo loro (in media 40 litri, contro i 54 litri di un’arnia Dadant);

2) con l’accesso più piccolo (mediamente 12-15 cm2, facilmente difendi-
bile e poco dispersivo4);

3) con il fondo chiuso, a differenza degli spifferi che provengono dalla porta e dal fondo delle le arnie razionali con rete e lamierino anti-varroa;

4) con le pareti ricoperte di propoli, impermeabilizzante e antisettica, con-
tro le pareti lisce delle arnie commerciali;

5) di forma stretta, approssimativamente cilindrica ma molto irregolare e sviluppata verso l’alto, contro lo sviluppo essenzialmente orizzontale
delle arnie commerciali;

6) e soprattutto con un grado di coibentazione molto maggiore rispetto alle strutture laminari in legno delle arnie commerciali.

È chiaro che queste differenze strutturali tra il nido al quale l’ape si è adattata nel corso della sua storia evolutiva e il nido che le offre l’apicoltore (anche a prescindere dai cambiamenti comportamentali che le sono imposti: in particolare l’inibizione della sciamatura e la concentrazione in apiari affollati) costringono le api ad un lavoro aggiuntivo per adattarsi a condizioni sub-ottimali, lavoro che si traduce, come minimo, in un maggiore consumo di scorte.

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