L’analisi melissopalinologica aiuta di solito a conoscere l’origine botanica di un miele, fornendo preziose informazioni all’apicoltore sulla “bontà” delle sue scelte aziendali. L’esempio della Valchiavenna dimostra che, attraverso lo screening dei mieli di un territorio, la melissopalinologia può aiutare gli apicoltori a indirizzare in modo più preciso le loro scelte produttive
Dal miele al territorio
Ciò che avvicina al miele un numero crescente di consumatori, sempre più attenti agli aspetti salutistici della propria dieta, è la sua naturalità: per il consumatore il miele è fatto dalle api e non dall’uomo che, come agli albori della pratica dell’apicoltura, si limita a prelevarlo dai favi, filtrarlo e riporlo in vasi per portarlo sulla tavola. Non essendo quindi un prodotto industriale, ma l’elaborato delle api estratto dai favi, ne risulta una caratteristica molto particolare ed interessante: la sua unicità.
Ogni partita di miele è diversa dall’altra: le api bottinatrici, perlustrando un ampio territorio intorno all’arnia e raccogliendo e assemblando minuscole gocce di nettare, “fotografano” la situazione floristica del territorio in quel preciso momento, in una istantanea che si ritrova nel miele stesso e che, per quanto simile, non sarà mai identica ad un’altra. Il miele dunque come specchio della flora del territorio d’origine racchiude in sé i profumi e gli aromi delle migliaia di fiori che le api bottinatrici instancabilmente vi-
sitano.
Annusare ed assaggiare un miele sono semplici gesti che ci offrono il piacere di apprezzarne la complessità del profilo sensoriale, ma può essere
interessante anche domandarsi quali siano state le fonti da cui le api hanno
attinto per produrlo. Si prospetta così un suggestivo viaggio a ritroso, alla
ricerca dei fiori che col proprio nettare hanno contribuito alla composizione del miele che stiamo gustando. Ogni nettare infatti possiede un colore, profumo ed aroma diversi da quello di altre specie e fa sì che i mieli che ne derivano abbiano caratteristiche alquanto differenti. Ne è un esempio il paragone tra un chiarissimo, delicato e confettato miele di acacia, ed uno scuro, astringente ed amaro miele di castagno.
Questo stimolante esercizio per il palato, l’allenarsi ad associare alle varie componenti olfattive ed aromatiche una specifica fonte di nettare, quindi una determinata fioritura, non è sempre facile, neppure per esperti assaggiatori di miele, che devono fare i conti con la meravigliosa complessità del prodotto.
I consumatori si devono affidare all’origine botanica dichiarata in etichetta, o affacciarsi al mondo dell’analisi sensoriale partecipando a sedute di assaggio guidato, sempre più frequentemente proposte. Esiste però un altro modo per svelarne la composizione botanica del miele. Per descriverlo occorre partire dalla composizione della sua materia prima: il nettare. Costituito principalmente da acqua e zuccheri, include però anche una piccola parte di componenti minori, tra i quali le sostanze responsabili del profumo, aroma e colore.
Inoltre il nettare contiene anche i cosidetti “elementi figurati”, utili all’individuazione dell’origine botanica e geografica.
Cliccando qui è possibile consultare la tesi della dott.ssa Fabiola Fanti
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