
La terra lagrimosa diede vento,
che balenò una luce vermiglia
la qual mi vinse ciascun sentimento;
e caddi come l’uom che sonno piglia.
Inferno, canto III, 133-136
Siamo soliti associare l’ape ad una vita laboriosa e senza pause, fino alla fine. Ma è davvero così? Sembra proprio di no. Le api, infatti, come tutti gli altri animali, dormono
È iniziata la primavera e come ogni anno mi ritrovo ad osservare, rapita, il risveglio dell’alveare.
Complice il tiepido sole di marzo, le foraggiatrici finalmente si adoperano nella raccolta di nettare e polline. Le vedo qui e là nella distesa di narcisi piantati con così tanta cura da mia madre. Volano da un fiore all’altro, veloci, precise e instancabili.
Le api sono, quasi per definizione, insetti infaticabili, simbolo di operosità e di vita dedita ad un lavoro incessante. Ma le api non sono infaticabili, a volte dormono.
Una delle sfide della scienza è capire perché il dormire si sia evoluto e sia presente anche in specie così distanti da noi, come gli insetti. Ma partiamo
dall’inizio.
Nel 1859, il biologo naturalista Charles Darwin pubblica L’origine delle specie, il libro caposaldo della biologia. In quest’opera Darwin propone una teoria innovativa – la
teoria dell’evoluzione – che spiega come le varie specie si siano evolute tramite graduale selezione naturale.
Questa selezione si basa su un processo per cui solo gli individui che possiedono particolari caratteristiche di successo in un determinato ambiente si riproducono e le trasmettono alle generazioni future. Secondo questa ipotesi quindi, attraverso l’evoluzione vengono selezionati alcuni tratti – sia comportamentali che fisiologici – che si sono rivelati particolarmente utili alla sopravvivenza degli individui che
li possedevano.
Il sonno, per varie ragioni che ora vedremo, teoricamente non dovrebbe essere considerato un tratto evolutivamente utile e perciò degno di essere tramandato alle
generazioni future.
Se ti è piaciuta l’anteprima dell’articolo, abbonati per ricevere l’apis a casa!