Quanto è indispensabile il controllo elettronico della temperatura per una buona sublimazione? – Sanità apistica

di Livio Colombari e Stefania Maucieri

Prova di campo di Apilombardia, di confronto tra due sublimatori: uno con il controllo elettronico della temperatura e uno senza

Alcune considerazioni iniziali

Per anni nella nostra azienda abbiamo sempre usato un sublimatore veloce con controllo elettronico della temperatura. Non posso lamentarmi né della praticità
d’uso né dell’efficacia del trattamento più volte verificata.

Ma più di una volta abbiamo avuto problemi con l’elettronica di gestione dello strumento: non funzionava più adeguatamente e aveva bisogno di assistenza. Abbiamo riscontrato che il problema non era solo nostro ma anche di altri colleghi con strumenti di diversi produttori, e che la causa del malfunzionamento poteva essere legata a un insieme fatto di imperizia dell’operatore ma anche di
delicatezza dello strumento.

Chiacchierando con una collega ho poi scoperto che utilizzava un sublimatore simile al nostro nell’aspetto (caldaia chiusa da un tappo superiore in teflon riscaldata da
una resistenza e uscita dell’ossalico da un beccuccio) e nella funzionalità ma senza controllo alcuno della temperatura: praticamente la resistenza una volta attivata resta sempre accesa ed è l’immissione di ossalico da parte dell’operatore a impedirne il surriscaldamento e a mantenere più o meno costante la temperatura della caldaia.

Dall’esperienza di campo con diversi sublimatori anche più potenti del nostro, in occasione d’incontri tecnici con altri colleghi associati, avevo inoltre notato che dopo 4 o 5 alveari non c’era sublimatore che reggesse il ritmo dell’operatore; di fatto tutti gli apparecchi provati finivano per tener sempre accesa la resistenza per recuperare il raffreddamento causato dall’immissione di acido ossalico.

L’unica eccezione a tale regola mi è successa con un sublimatore riscaldato a candelette e che presenta una coibentazione notevole della camera di sublimazione.

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