
Quando si influenza negativamente il processo riproduttivo di una specie, si condiziona anche la sua sopravvivenza. Ci appaiono connessi da un filo rosso gli esempi del recente passato
L’impiego massiccio e poco prudente di prodotti fitosanitari (detti PPP, Plant Protection Product, nel glossario dell’European Food Safety Authority) non solo
toglie azione benefica ai prodotti dell’alveare ma sembra influenzare anche i meccanismi di riproduzione di diverse specie. Vogliamo quindi illustrare i risultati di alcune ricerche condotte sulla riproduzione di uccelli, di persone e di api in relazione all’uso di alcuni PPP.
Diclorodifeniltricloroetano (DDT) e coscienza ecologica
Il primo insetticida moderno è stato il DDT, accolto come un miracolo per la lotta alla zanzara anofele e quindi alla malaria. In un’equazione semplice la molecola che uccideva le zanzare avrebbe eliminato anche la malattia. Il prodotto prodigioso andava benedetto e così Paul Hermann Müller, il chimico che scoprì le proprietà insetticide della molecola, ha ricevuto il Premio Nobel alla Medicina nel 1948.
Derisa dalla cronaca e aggredita dall’industria chimica, la biologa americana Rachel Carson (1907-1964, box) descrisse accuratamente le conseguenze dell’uso improprio del DDT e di altri pesticidi e diede inizio al movimento ambientalista con la pubblicazione del suo libro “Primavera silenziosa” (1962). Gli scritti di questa donna determinata riuscirono a frenare un percorso troppo pericoloso. Il declino degli uccelli è stato determinante nel creare consapevolezza ambientale. L’impatto del DDT sull’avifauna fu notato per la prima volta alla fine degli anni ‘50, quando le irrorazioni per controllare i vettori della malattia olandese dell’olmo produssero un massacro di pettirossi. I ricercatori scoprirono che i lombrichi accumulavano il DDT nei tessuti e che i pettirossi che li mangiavano venivano avvelenati.
Progressivamente, grazie soprattutto al lavoro della Carson, gli smisurati programmi di applicazioni di PPP furono messi sotto controllo. lcuni prodotti, come il DDT e derivati, richiedono tempi lunghi per degradarsi per cui, pur essendo vietati da decenni, sono ancora adesso rilevati nelle matrici ambientali.
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