Un’allevatrice non di api ma alle prese con gli stessi cambiamenti climatici – Altri allevatori

di Marzia Verona

Allevatori e agricoltori sono, da sempre, tra le categorie più soggette ai “capricci” del tempo, vuoi perché toccano letteralmente con mano gli effetti anche della più lieve manifestazione meteorologica, vuoi perché la resa del loro lavoro dipende dal tempo che fa, nel bene e nel male

Non avrei mai immaginato di temere che l’acqua non uscisse dal rubinetto, soprattutto non avrei immaginato di trovarmi in una situazione simile andando a vivere in montagna, in una regione dove l’acqua la vedi ovunque, nei torrenti,
nei laghi, negli impianti irrigui in funzione giorno e notte, d’estate.

Facciamo un passo indietro: non avrei nemmeno immaginato, il giorno della mia laurea in Scienze Forestali e Ambientali all’Università di Torino
che la vita mi avrebbe portata ad abbandonare il Piemonte per trasferirmi
in Valle d’Aosta ad allevare capre.

Dalla discussione di una tesi sui pascoli alpini della Val Formazza (VB),
nell’ormai lontano 2001, a oggi sono successe innumerevoli cose: attività e
collaborazioni in diversi ambiti (quasi sempre legati alla zootecnia di montagna),
pubblicazione di numerosi libri (saggi, racconti, romanzi) e vicende esistenziali che si sono intersecate con il lavoro.

Attualmente vivo a 1000 metri di quota, in un villaggio dove il mio compagno gestisce una piccola azienda agricola con allevamento di vacche da latte e capre di razza valdostana.

Il latte viene venduto a un caseificio per la produzione di Fontina DOP in inverno e primavera, mentre da inizio giugno a fine settembre mandiamo gli animali in alpeggio, affidati ad altri allevatori.

Noi d’estate ci occupiamo soprattutto della fienagione, normalmente produciamo foraggio sufficiente per tutti i mesi in cui gli animali restano in stalla (da novembre e maggio le vacche, mentre le capre le pascoliamo fuori tutto l’anno, se il clima lo consente).

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