Biomonitoraggio ambientale con le api, l’indagine continua – Api e Agricoltura

di Marco Bergero e Luca Bosco

Inizia quest’anno la quinta stagione del biomonitoraggio ambientale con le api targato Aspromiele. No, non stiamo parlando di una serie tv su affascinanti “indagini ambientali”… anche se però, magari in un futuro… chissà…!
Vaneggiamenti a parte, il presente articolo segue quello dello scorso numero (l’apis n. 2/2021) e ha lo scopo di illustrare i dati della stagione di biomonitoraggio ambientale con le api 2020.
Nell’anno che tutti proveremo invano a dimenticare rimangono nella memoria una serie di annunci confortanti sulla qualità dell’aria e dell’acqua al tempo del lockdown. Aria più limpida, tanto da permettere di godere di panorami ormai dimenticati, e acqua più limpida, tanto da permettere agli abitanti di Venezia di osservare che in Laguna ci vivono
anche i pesci: i risvolti positivi del Covid-19 sembravano indicare una direzione perseguibile per un futuro più salubre.
Col passare dei mesi le varie agenzie che monitorano la qualità dell’aria hanno però smentito le notizie iniziali: le polveri sottili non sono diminuite e il parziale crollo degli ossidi di azoto non è stato così significativo e duraturo da migliorare gli indici di inquinamento atmosferico. In sostanza
si è azzerato il traffico di veicoli ma sono aumentate le emissioni da riscaldamento e la situazione non è variata significativamente rispetto agli anni precedenti.
Il particolato atmosferico non è però composto solo da PM10, PM2,5 o PM0,1 e la salute umana non è il solo punto di riferimento quando si parla di ambiente e soprattutto di bio-monitoraggio effettuato con le api. Le polveri (PM50 e PM100) con le quali viaggiano le molecole di sintesi impiegate in campo agricolo sono state palesemente “dimenticate” nei vari studi effettuati in periodo di lockdown. Alzate dal vento e dalle lavorazioni agricole le polveri “non così sottili” trovano il loro principale strumento di propagazione proprio nel traffico: i veicoli alzano e disperdono la polvere in continuazione, mantenendola in sospensione. Come per la Laguna veneziana, in cui pesci si vedevano non per il minor inquinamento ma per la minore torbidità dell’acqua garantita dall’assenza di imbarcazioni, la maggior limpidezza dell’aria da lockdown è imputabile al minor rimescolamento di PM50 e PM100 da parte dei veicoli in transito.
In ottica biomonitoraggio, meno PM50 e meno PM100 significano un potenziale minor deposito sulle matrici bottinate dalle api e di conseguenza una minore contaminazione dei fiori da parte dell’aria, per cui è lecito, almeno stando al ragionamento proposto, aspettarsi una minor presenza di
molecole rilevabili con l’analisi delle matrici dell’alveare. È andata veramente così? il biomonitoraggio 2020 ha dato davvero risultati migliori rispetto agli altri anni? In effetti sì, anche se non abbiamo gli strumenti per correlare la minor presenza di molecole registrata (soprattutto in intensità)
alla consistente diminuzione del traffico veicolare.

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