Se la varroa è male, troppa varroa è il male. Non la voglio. D’estate già ho poche ore di sonno, non voglio (più) incubi. Da gennaio in avanti meno ne incontrano – le mie api – meglio è. Vale la pena staccarsi dalle abitudini? Provare a impegnarsi di più? Confessioni di un estremista del blocco invernale, radicale e non pentito
Certo è che mi è già capitato, diverse volte, troppe volte, di ritrovarmi, a fine maggio/primi giugno, con percentuali eccessive d’infestazione (sopra il 2% rilevato con lo zucchero a velo), ma fortunatamente su un numero limitato
di alveari (anzi di apiari), in particolare quelli svernanti al caldo, nelle vallate vicine al mare della Liguria. Già ho avuto la geniale intuizione di far crescere la mia dimensione aziendale e professionale nel decennio meno
produttivo a memoria d’uomo; se a questo film (che a me in ogni caso piace) aggiungi anche solo qualche apiario con infestazione eccessiva in giugno, la sceneggiatura rischia di diventare quella di: un triste funerale.
Certo se intervieni subito, puoi riparare, ma con quanti e quali danni alle potenzialità produttive? Un apiario con eccesso di varroa non rischia solo di fottersi a breve… produce pure di meno rispetto a uno con bassa infestazione! Due danni con un solo acaro! Chapeau!
Certo ho accertato, toccato con mano il valore di previsione azzeccato della stima a mezzo Zav. Mi dice quando e come sono cotto… fottuto… Mi dice che ho sbagliato.
Tanto piacere ma come evitare di ripetere? La coazione a ripetere è quella dell’assassino, che deve ritornare sul luogo del delitto… non è dell’apicoltore.
Ho provato a porvi rimedio e dopo diverse prove e… relative facciate, sono soddisfatto. È un piano di azione valido, percorribile senza grandi investimenti se non in mano d’opera, in un momento dell’anno in cui ne ho disponibile, sono infatti socio di Conapi e qualcun altro (l’azienda consortile) si occupa di piazzare, e bene, le mie produzioni (sempre che si riesca a produrre… meteo e… varroa… permettendo).
Metodo che mi ha dato buoni risultati nel mio contesto in provincia di Alessandria, con gli andamenti di meteo e api della padana. Non mi azzardo certo quindi a ipotizzare che altrove, in condizioni diverse possa essere altrettanto efficace e praticabile. È prioritario, infatti, provare sul proprio territorio e adattare al contesto ambientale/climatico le tecniche produttivo/sanitarie apistiche, assecondando il più possibile il fisiologico comportamento delle api, per cercare di minimizzare lo stress che indubbiamente i trattamenti acaricidi comportano.
Ho adottato procedure diverse per le famiglie in arnia e per
i nuclei fatti in stagione, in cassettini da sei favi.
Quando?
Ingabbiare nella prima decade di novembre è probabilmente meno stressante per le regine e le famiglie che di fatto si accingono ad un fisiologico blocco. Nelle mie zone, solitamente, si può procedere nei mesi di novembre/dicembre; la finestra temporale di drastico calo e poi di assenza di covata non manca. Certo in novembre non è scontato poter rispettare le scadenze, quindi flessibilità è la parola d’ordine!
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