Importanti acquisizioni di conoscenze grazie a osservazioni e rilevazioni puntuali sugli effetti delle diverse versioni del trattamento invernale antivarroa più utilizzato
Gli apicoltori sanno molto bene che l’acido ossalico è una molecola attiva molto efficace contro la varroa, se applicato in assenza di covata e con sufficiente umidità nell’arnia. Non ha ancora ingenerato resistenze, non lascia residui nel miele e – a specifiche modalità operative – è generalmente ben tollerato dalle api.
Quest’ultima conclusione si basa sulla consistenza numerica delle colonie prima e dopo il trattamento, a confronto con colonie di controllo che non vengono trattate¹.
Le famiglie trattate arrivano a primavera un po’ più deboli del gruppo di controllo, ma il loro ritardo si colma in poco tempo (e, naturalmente, il gruppo di controllo non trattato arriva a luglio con un tale carico di acari da pregiudicarne la sopravvivenza).
Nella letteratura, tuttavia, non si considera la reazione a breve termine delle api al trattamento. Le poche api morte che si trovano sul predellino di volo sembrano essere l’unico segnale di moderata sofferenza, anche se si sa che sarebbe meglio non assoggettare le api a più di un trattamento nell’arco della loro vita – indicazione che gli apicoltori sono obbligati ad ignorare quando la caduta di acari dopo il trattamento è tanta da far pensare che le varroe sopravvissute siano comunque in grado di mettere in pericolo la colonia.
Ci sono tuttavia dei segnali che indicano che la cosa non è così semplice.
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