Le moltitudini del miele – Api e agricoltura

di Luca Bosco

I numeri meno ufficiali di un alimento unico al mondo.

Fino a non troppi anni fa avevo un apiario in cui producevo 4 mieli a stagione: 3 monoflora di eccellente purezza (ciliegio, acacia e castagno) e 1 nerissima melata di metcalfa.

Ho scritto “avevo” ma l’apiario ce l’ho ancora, solo che sono 10 anni che non faccio più i 4 mieli e da 3 faccio solo più castagno (sempre meno, tra l’altro). Le api di quella postazione mangiano sciroppo ormai per 335 giorni l’anno: una disgrazia, per me e
per loro. In questo senso “avevo”.

Cos’è venuto a mancare, mi chiedo, in questa postazione negli ultimi 10 anni tanto da innescare l’azzeramento prima del ciliegio (dal 2012), poi della melata (dal 2014) e infine dell’acacia (dal 2019)? Se dovessi dare una risposta secca direi: l’acqua. In
fondo anche i castagni, benché abbiano radici profonde, stanno riducendo di anno in anno i loro flussi nettariferi, più o meno con lo stesso trend delle falde acquifere superficiali, una volta abbondanti in questi territori sabbiosi compresi fra l’Appennino ligure e le Alpi.

Pensando alla zona in cui ho le api vi starete a questo punto immaginando boschi secchi, piante in crisi, fiorellini striminziti nei prati e api da nutrire. Avete ragione solo sulle api. Il resto, almeno in apparenza, è tutto come nel 2010, stagione in cui le 30 famiglie dell’apiario mi produssero 33 quintali di miele.

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