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Non era così elementare, Watson… – di Luca Bosco

Che io sappia Arthur Conan Doyle non ha mai scritto un’opera in cui il suo Sherlock apparisse alle prese con un’indagine condotta su misteriose molecole chimiche, enigmaticamente finite nelle matrici dell’alveare. Ho pensato a sir Arthur perché il lavoro associato al bio-monitoraggio ambientale con le api assomiglia molto, a volte, alle intricate e impossibili indagini di Holmes e del geniale dottor Watson. Conan Doyle nulla sapeva del glifosato e forse è per questo motivo che non ha mai scritto un libro della saga dedicata al pan d’api e al miele del nido. Sono sicuro che l’avrebbe scritto se l’agroindustria avesse devastato l’Inghilterra già un secolo fa.

Fungicidi e insetticidi, in realtà, non hanno bisogno di scomodare Sherlock: si impiegano e si rinvengono sul territorio; ad ogni coltura corrisponde la propria gamma di molecole, alternate o utilizzate in sinergia durante la stagione, e a ogni periodo corrispondono ritrovamenti più o meno sistematici sulle e nelle matrici dell’alveare. I valori sono troppo alti? L’agricoltore le ha impiegate con poca attenzione. Le molecole finiscono nelle acque superficiali, nei suoli, nell’aria? Sono molecole poco degradabili e/o la loro quantità irrorata è superiore a quella che l’ecosistema è in grado di metabolizzare. Con questi parametri il monitoraggio con le api restituisce un “giudizio” attendibile sulla sostenibilità di impiego delle molecole fitosanitarie.

Alla causa corrisponde l’effetto: elementare, Watson.

Il glifosato è invece un’altra cosa: la sua presenza nel miele è un vero e proprio rompicapo. Il polline che andiamo a campionare sotto forma di pan d’api è esposto agli agenti atmosferici per alcuni giorni e l’erbicida, lo sappiamo, può “arrivare” in molti modi; l’aria, per esempio, è in grado di trasportare la molecola ovunque e la pioggia può “ripulire” l’aria e depositare il glifosato sui fiori anche a decine se non centinaia di chilometri di distanza dal luogo di applicazione. Se piove diserbante sull’edera fiorita in montagna, lontano da aree agricole, non è comunque logico aspettarsi di rintracciare la molecola nel polline raccolto e stoccato dalle api?

Un po’ meno elementare ma pur sempre logico, Watson.

Ma il nettare da cui le api ricavano il miele? Non sta per giorni esposto all’aria: raccolto dagli impollinatori, divorato dagli lieviti o prosciugato dal vento il nettare ha in ogni caso un’emivita di poche ore. Com’è possibile allora che accumuli decine (a volte centinaia) di ppb di glifosato? Essendo sistemica la molecola può giungere al nettare attraverso la linfa, percorrendo vie interne alla pianta. Basta guardare alla decisione dell’Efsa di innalzare i limiti residuali di legge per alcuni prodotti, sia di derivazione vegetale che animale: l’erbicida si accumula in frutti e semi, e negli organi degli animali che li mangiano. Il grano, ad esempio, non muore a contatto con l’erbicida ma comunque lo assorbe, accumulandolo nei chicchi, e la decisione dell’Efsa lo conferma: il glifosato è presente nei cicli biologici di piante e animali laddove si coltiva sfruttando la pratica del diserbo. Ma il ciliegio selvatico, i fiori di prato e l’edera (solo per fare degli esempi)?? Non si diserba dove fioriscono queste piante! Come fanno a contenere glifosato nel loro nettare?? 

Eppure ce l’hanno. L’indizio chiave per risolvere il caso proviene dallo studio approfondito e interdisciplinare dei flussi nettariferi. Il nettare, benché secreto dal nettario e quindi dal fiore, è in realtà generato da un complesso sistema microbiologico che vede coinvolte le radici delle piante e i microrganismi del suolo, tutti quanti al lavoro per consentire al nettario di secernere il cibo degli impollinatori. I flussi nettariferi si generano soltanto quando e dove le piante sono nutrite da una corretta (ed enorme) biodiversità microbica del suolo. E cosa c’entra il glifosato con i microrganismi del suolo? Questi ultimi dovrebbero essere coloro che degradano la molecola! 

Diserbare significa non solo uccidere l’erba presente in un campo ma significa anche uccidere i microrganismi che vivono in simbiosi con essa. Ogni diserbo altera e riduce la biodiversità dei suoli ed è questa la chiave per comprendere la presenza del glifosato nel miele. Riducendo la biodiversità microbica dei suoli il diserbante rende permeabili i cicli biologici che originano i flussi nettariferi. Gli argini che la natura ha eretto contro la possibilità che le molecole “estranee” circolino nelle piante sono gravemente danneggiati e ciò che non dovrebbe passare passa, arrivando a minacciare la possibilità stessa dei flussi nettariferi.

Mentre quindi il mondo intero si sta chiedendo se e in che modo il glifosato sia dannoso per la salute di animali e uomini che lo ingeriscono l’indagine che accompagna il biomonitoraggio ambientale con le api ci informa che il problema è un altro, e ben più grave. È come se Sherlock, indagando su un enorme pelo conficcato nel terreno da chissà chi (forse l’assassino) e chissà per quale motivo, comprendesse che il pelo misterioso appartiene in realtà a un gigantesco mostro distruttore (l’assassino) sul cui dorso egli stesso si trova a camminare, e a indagare, senza scampo.

Il glifosato è questo mostro, e non era così elementare, Watson.

Per approfondire:

Gli ambasciatori Le vie del glifosato sono infinite

Flussi nettariferi: complessità (anteprima)

Fonte immagine in evidenza: illustrazione di Sidney Paget, rivista britannica The Strand Magazine

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