Stringere il glomere: il ruolo dei diaframmi – Novità dalla ricerca

di Daniele Besomi

La tecnica di stringere il nido delle api al momento dell’invernamento o all’inizio della primavera è usata abbastanza frequentemente nelle regioni del mondo dove le api svernano in nidi a un solo corpo.

Così confinate, le colonie crescono più velocemente, portando dunque a un rendimento maggiore.

Questo risultato è in qualche misura paradossale. Le api in glomere si posizionano per istinto in una forma approssimativamente sferica per minimizzare la dissipazione di energia calorica, esattamente come fa un gatto quando si raggomitola.

Il calore del glomere si disperde nei punti in cui la sua superficie periferica è a
contatto con l’aria fredda della parte non occupata dell’arnia, e la sfera è appunto la forma geometrica che, a parità di volume (cioè della fonte di calore endotermico del glomere), minimizza la superficie da cui il calore si dissipa.

Nel corso della loro evoluzione, le api hanno dunque trovato la forma più efficiente per la gestione termica del loro glomere. Stringendo artificialmente il glomere
tra due diaframmi si forza un cambiamento nella forma del glomere stesso,
costringendolo ad allungarsi verso il basso (la parte più fredda dell’arnia) e
dunque perdendo l’efficienza termica della forma sferica: a parità di volume,
la superficie periferica del glomere è maggiore di quella che le api avrebbero
scelto naturalmente (Fig. 1).

Come è possibile che imponendo una struttura inefficiente si guadagni in produttività?

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